COGITO ERGO FACEBOOK!
RIFLESSIONE A VOCE ALTA
SUI CAMBIAMENTI IMPOSTI ALLA SOCIETÀ
DALLE MODERNE DIAVOLERIE

COGITO ERGO FACEBOOK! RIFLESSIONE A VOCE ALTA SUI CAMBIAMENTI IMPOSTI ALLA SOCIETÀ DALLE MODERNE DIAVOLERIE

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COGITO ERGO FACEBOOK!
RIFLESSIONE A VOCE ALTA
SUI CAMBIAMENTI IMPOSTI ALLA SOCIETÀ
DALLE MODERNE DIAVOLERIE

A noi poveri apprendisti cronisti di un tempo – ma in genere capitava solo a quello un pò più bravino (che immancabilmente era il vostro Direttore) – quando arrivava in redazione la notizia di un fatto di sangue, il Capo redattore di Corriere Adriatico Roberto Sopranzi immancabilmente faceva partire la telefonata con sempre la solita raccomandazione:

“Sandro per prima cosa procurati una fotografia del morto”. Il che tradotto intendeva significare: “Trova la fotografia ma anche tutto il resto della notizia. E anche presto”.

Non ricordo, in oltre 30 anni di attività, di aver bucato un invito a lavorare. Spesso per due soldi. Non esistevano (e non esistono) sabati, domeniche o altre feste comandate.

Tranne un paio di casi veramente impossibili (eh si che all’epoca, in caso di morte violenta, si pubblicava di tutto, ragazzini in primis… non come oggi dove l’interesse della notizia è sacrificato spesso sul sull’altare-feticcio di una falsa ma comoda privacy) posso oggi guardarmi alle spalle e vantarmi di aver guadagnato sul campo il titolo, che non esiste, di cacciatore di foto (e di notizie) numero 1, 2 e 3 della provincia di Ancona.

Ogni giornalista, anche quanti non sono ferrati con la cronaca nera e dintorni, è a conoscenza del brivido assicurato al proprio pubblico, all’epoca numeroso e pagante, dalla lettura particolareggiata della tragedia; nasce così, inconfessato tra noi e il pubblico, l’apoteosi del dolore altrui (che a ben guardare costituiva la più potente ragione per comprare un quotidiano locale, così come oggi si fissa a lungo, gratuitamente, lo schermo multicolore di un Ipad o dello smart-phone).

Un resoconto diremmo dal ritmo incalzante, stile Rossiniano, che diventava ancora più forte fino a trionfare quando le vittime, da semplici numeri, iniziali o nomi, diventavano finalmente corpi, volti e sguardi.

Solo riguardando e fissando quei volti i lettori acquistavano (e per fortuna continuano ad acquistare) contezza, per davvero e fino in fondo, della effettiva realtà dell’evento di sangue raccontato.

C’era stato un lungo tempo precedente (grosso modo fino ai miei primi anni di giornalismo, sul finire degli anni ’80) dove gli investigatori fornivano a noi giornalisti – spontaneamente, ma non sempre – anche le foto dei protagonisti, in genere tratte dai documenti di identità rinvenuti addosso ai malcapitati.

Che si trattasse di vittime o di carnefici, chi appariva in quegli scatti aveva immancabilmente l’aria seria, il volto quasi al limite della mestizia, come pervaso dalla consapevolezza preventiva, già al momento lontano dello scatto (in genere nella penombra di una cabina fotografica con mini tendine) che quell’immagine sarebbe divenuta la principale se non l’unica testimonianza del proprio passaggio in questo mondo!

Scrutando le pagine di cronaca di un tempo appena passato, si avverte come l’umanità protagonista diveniva inevitabilmente plumbea… quasi vittima predestinata della disgrazia narrata!

Rileggendo oggi quegli articoli e associandoli a quei volti tutti uguali, verrebbe naturale, come entrando in un cimitero, quasi di togliersi il cappello e abbassare un poco il tono della voce, tanto quelle tragedie evocavano il mistero, per di più doloroso e inaspettatissimo, del trapasso da questa vita.

In questo modo, tutto sommato, il terribile evento della morte veniva collocato quale evento naturale, in un contesto più consono, impregnato di dignitosa tristezza.

Oggi le cose sono cambiate e parecchio anche nelle pagine, sempre meno vendute, di nera.

Volendo esagerare, ma non troppo, possiamo affermare che il millennio, da punto di vista iconografico, ha portato in dono sezioni di cronaca tra le più sbarazzine, in grado di rivaleggiare, sull’intera foliazione, con quelle dello spettacolo!

Al posto delle foto tessere in bianco e nero o ingiallite dal tempo (o al massimo della foto staccata da qualche album) oggi si vedono, accanto a titoli atroci, essere umani festosi, ilari, ammiccanti, soventi semi nudi o in costume da bagno, adornati con cappelli di paglia e intenti a sorseggiare bicchieri colmi di bibite colorate.

Frequenti anche gli scatti in tenuta sportiva (per gli uomini) o di gala con paillettes e scollature vertiginose per le defunte signore.

Tutto intorno alla notizia il clima che si respira è quello del divertimento, della spensieratezza e persino dell’amore.

Molto spesso capita che (futuri) carnefici e vittime (predestinate) si sorridano, allacciati in baci e abbracci che tutto lasciano presagire tranne lo scatenamento di una possibile violenza. Femminicida (che brutta termine!). O parricida. O a danno di figli.

Il fatto è che gli utenti di Facebook, Instagram e Twitter, solo per restare ai social più frequentati in Italia sono tra i 30 e i 40 milioni. Ciascun individuo ha depositato sul web decine e decine di fotografie e qualche filmato, invariabilmente atti a testimoniare, vero o falso che possa essere… ma ciò che conta è apparire) una esistenza pienamente soddisfacente e gioiosa. Meglio sarebbe dire: una esistenza felice alla faccia vostra!

E’ da questa colossale e casareccia fiera della vanità senza fondamenta, da questi miliardi di sorrisi posati o posticci, che oggi noi giornalisti, tutti, bravi o brutti, estraiamo con assai minor fatica di un tempo (garantito!) le immagini a corredo delle principali news di cronaca.

Ovviamente, potendo metter mani senza freni nell’album di famiglia, noi giornalisti scegliamo, specie con notizie di morte, gli scatti più sprizzanti vita!

Ed ecco che anche il passaggio misterioso all’altra vita (in fin dei conti l’unico mistero che non riusciremo mai a risolvere) smarrisce tutta la sua solennità… oltraggiata da una esibizione falsa e a volte volgare di benessere last minute, data da sguardi non più fissi nel vuoto come un tempo… ma un pò inebetiti da troppa musica o alcol.

Come se nel nostro cimitero venisse diffusa, senza sosta, una colonna sonora da discoteca o villaggio vacanze… Questa, nell’epoca imperante dei social, la nuova rappresentazione della morte!

Un’idea quanto mai falsa e tendenziosa visto che il pensiero di fondo dominante esclude, senza provarne mai a discuterne minimamente, di provare ciascuno di noi a misurarci con l’impervia e contraddittoria questione del nostro rapporto con la fine della vita, tutti a fidare sui prodigi della scienza, della genetica o sulle promesse della medicina.

Si potrebbe arrivare a concludere che anche le pagine di cronaca nera, sempre più rare e sempre meno a pagamento, attingendo largamente a Facebook & Co., siano rimaste vittime di quell’imbroglio collettivo chiamato social, non luoghi di massa dove impera il come vorremmo essere spacciato per realtà.

Già agli albori di Facebook da cui, esigenze di lavoro a parte, cerco e riesco a stare il più lontano possibile, mi chiedevo cosa potesse spingere l’umanità a colpi di decine di milioni l’una, a fare la fila per raccontare quelli che un tempo erano definiti sacrosanti affari propri, da non condividere per gli stessi motivi che oggi hanno portato al ribaltamento dell’opzione.

La risposta che mi sono dato è che a prevalere, tra un anonimato comunque “gufato” a prescindere dal proprio prossimo, sia stato il desiderio di spacciarsi per coloro che non si è… per il gusto sadico di tormentare l’animo mai a riposo dell’invidia.

Il problema, semmai, è che avendo il fenomeno ormai superato qualsiasi livello di guardia, ecco che anche gli effetti sono ormai conosciuti ai più e sempre meno la verità virtuale di Facebook, già oggi, appare in grado di sbalordire il nostro prossimo.

In attesa che nuovi strumenti tecnologici mandino in pensione Facebook, accontentiamoci dell’incredibile esistente.

I molti mariti che coltivano propositi uxoricidi o il figlio appena maggiorenne che ha già deciso quale parte dell’eredità paterna gli servirà per pagare il pusher e quale per volare alle Maldive, dissimulano entrambi i propri piani abbracciando adoranti le loro vittime designate.

Ma in fondo va bene così. Soprattutto personalmente. Il mio obiettivo, fin da piccolo, è sempre stato quello di non muovere un solo dito per migliorare questo mondo… preferendo viverlo e raccontarlo e tramandarlo così come mi è stato consegnato.

Tante messe in scena senza fine, disponibili senza sforzo su Facebook senza più quella rottura urlante di scatole che fu Sopranzi nei miei confronti (che comunque ringrazio per avermi insegnato molto) potranno solo che aiutare a diffondere meglio, ahi noi gratis, la notizia.

I giornali anche oggi, ancorchè a zero euro, hanno necessità di farsi leggere, così come i lettori di sapere puntualmente. Bene. La messa in scena in onda H24 in rete è quanto di meglio si poteva sperare per coniugare entrambe le esigenze: grazie alla pantomima della propria pagina Facebook i giornalisti possono e potranno a lungo far godere i propri lettori mostrando con ricchezza di particolari quale fortunata vita è stata spezzata!

Magari, ne siamo quasi certi, più di qualcuno arriverà alla conclusione di pensare che, per aversela goduta così tanto, una punizione divina se la sarebbe anche dovuta aspettare, prima o poi!

Salvo porsi, quegli stessi lettori – dall’aspetto convenientemente triste ma dall’animo inneggiante alla giustizia divina – una semplice domanda: toccasse a me, avrei piacere di farmi ricordare dal prossimo con un sombrero in testa e una bottiglia di gin in mano?


DALL’AMORE ALLO STALKING
IL PASSO CON FACEBOOK È BREVE
10 MESI SENZA CONDIZIONALE A NARDONE
SUPER SCANDALO SANITÀ
LA LEGA DONA IL TAPIRO D’ORO
AL PRESIDENTE CERISCIOLI
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